FRAMMENTI #10

MEMORIE DI UN CERAMBICIDE

Ricordo quel giorno come fosse ieri, anche se da allora è passato innumerevole tempo. Ultimo sopravvissuto della mia generazione, voglio qui raccontare quella che per i giovani di oggi è solamente una vecchia storia affinché non si trasformi nelle generazioni successive in leggenda e finisca  poi per essere lentamente obliata. Quello che narrerò accadde in un lontano giorno di primavera, a mille battiti di ali da questo buco dove ora attendo con rassegnata serenità la mia morte. Non mi resta molto altro tempo da vivere, ormai è questione di attimi. Ho visto la prima brina stringere nella sua gelida morsa le erbe e le piante. Il rigoglio estivo dei giardini si è repentinamente consumato lasciando alle sue spalle la desolazione di corpi senza linfa. Ormai la morte è ovunque, anche qui. Nel tentativo di fuggire dal suo gelido alito mi sono rifugiato in questo orto, ma l’altra sera mi ha raggiunto. E’ iniziato laggiù ad est: nel freddo di un’ombra senza scampo la vita si è spenta. Non posso più indugiare devo raccontare e in fretta, il sole già è tramontato e ho sentore che questa sarà la mia ultima notte.

Ricordo i loro grugni, pelosi, neri, schifosi, affamati. Ci sono piombati addosso, ci hanno preso alle spalle. Assaliti, fatti a pezzi, mangiati. Le loro ali ci abbracciavano in un volo di morte mentre i loro denti facevano banchetto. Ci hanno presi tutti, uno dopo l’altro. Uno dopo l’altro massacrati. Per sorte o per destino, io solo mi sono salvato. E ora, ultimo della mia generazione, non mi resta che attendere che cali la notte e la morte venga a prendermi su ali di pipistrello.