Di nebbia, rane e fossi

Sei anni passati in Veneto hanno di certo contribuito al mio racconto “Oplà”, pubblicato nel mio ultimo libro Chamaeleo (Edda Edizioni, 2020). Ricordo bene la scena che ha ispirato il racconto. Era mattina presto ed io ero uscito per una corsetta. Cosa straordinaria già di per sé a causa del mio rapporto conflittuale con la sveglia. La strada su cui mi trovavo era una lingua di catrame che correva tra canali e campi coltivati. Il tutto immerso in un mare di nebbia. Nebbia densa come panna montata ricopriva ogni cosa e mi bagnava la barba e i vestiti.

Fu in questa cornice mistica che mi apparve il pescatore di rane. Non mi accorsi di lui fino a che non gli fui proprio davanti e il suo aspetto mi colpì. Era un anziano, con sacchi di plastica (quelli del concime) a mo’ di stivali. Se ne stava appollaiato sulla riva del fosso a fare ondeggiare la sua canna da pesca su e giù nel silenzio più totale. A tracolla un paniere di vimini.

La scena mi colpì molto perchè non vedevo un pescatore di rane da quando ero un ragazzino. Questa pratica (o forse le rane…) è andata scomparendo per ovvi motivi e oggigiorno fortunatamente le rane, come tutti gli anfibi, sono specie protette.

Trovai però che quella scena così assurda e irreale valesse almeno una storia. Così scrissi “Oplà”. Da qui la scelta di riportare nel testo una filastrocca veneta.

Un ultima curiosità: nel racconto si fa accenno anche ad una ricetta per la preparazione delle rane. Questa viene invece dal Piemonte ed in particolare dalla zona del Canavese, dove anche noi abbiamo una lunga tradizione “batracifaga”, come la sagra di San Ponso insegna.