18 luglio 2011

Samos – Portomarin                                                                                                      

La quantità di turisti, pellegrini e gruppo organizzati partiti assieme a noi in quest’ultima tappa è impressionante. Arriviamo dopo 34 km a Portomarin e scopriamo con delusione che gli Alberge sono tutti pieni fin da mezzogiorno. Fortunatamente riusciamo a trovare due letti in una pensione privata. Erano gli ultimi due posti.

Necessitiamo di un piano d’azione per i prossimi giorni: l’idea di trasformaregli ultimi km in una gara podistica non ci piace affatto. Così decidiamo di modificare le prossime tappe, accorciandole e spendendo il vantaggio temporale acquistato con la tappa da 50 km di ieri. Arrivando prima a fine tappa speriamo così che avremo la possibilità di trovare posti liberi negli Alberge municipali e non dover essere costretti a ricorrere all’ospitalità di privati o quant’altro. La strada verso Portomarin è costituita da lunghi viali acciottolati che corrono tra verdi colline coltivate a pascolo dove pascolano vacche e tori. Non è raro avere incontri ravvicinati con questi animali o imbattersi in branchi capitanati da un “vaquero” che attraversano le strade dei paesini per recare ai pascoli o alla stalla.

La spagna ci appare così un paese così dicotomico. Da un lato la Spagna di Madrid o Barcellona, quella proiettata verso il futuro e gli standard europei. Dall’altro la Spagan della Galizia, delle Mesetas e così via. Luoghi in cui il tempo sembra essersi fermato a 50 anni fa. Luoghi dove i bambini giocano tra il letame delle bestie e si fanno le campagne di prevenzione contro la salmonellosi e la rabbia. Un paese spaccato e questa lacerazione gli abitanti delle contrade da me visitate sembrano non avere alcuna intenzione di sanare.

Seduto in un bar sorseggio della sidra e osservo una scena intagliata nel legno appesa al muro del locale. Nell’intaglio è raffigurata una donna in abiti locali di altri tempi intenta a pulire un polpo. La donna la donna raffigurata lavora su un asse messo di traverso su un calderone alla cui base è raffigurato un fuoco scoppiettante. Il polpo è un animale importante per la cultura gallega che deve a questo cefalopode buona parte della meritata fama della sua gastronomia.

Schiere di turisti e di pellegrini vengono in queste contrade per fare scorpacciate del celeberrimo “pulpo a la gallega”. Tra questi mi ci metto anche io.