FRAMMENTI #31

Tutto si è da sempre intrecciato e contaminato. Una quindicina di anni fa scrissi una trentina di canzoni (nell’arco di alcuni anni) in stile cantautorale. Parte di questo repertorio è stato talvolta registrato in modo amatoriale e utilizzato per riscaldare gli animi suonando con miei cari amici in eterne serate etiliche. Alcune di queste canzoni venivano fuori dalle medesime esperienze di vita poi codificate nel mio ultimo libro Chamaeleo. Scartabellando negli archivi ho ritrovato quella che sarebbe dovuta essere l’introduzione ad un album musicale (mai registrato) contenente alcune canzoni di quel periodo. Per i più feticisti la riporto qui di seguito.

Introduzione all’album (mai registrato) “Dialoghi” ( 2005-2008)

Mio padre era solito dire guardando me e mio fratello dritti negli occhi: “ voi si che siete dei bravi ragazzi…la fuori e pieno di perdigiorno, di giovani che passano la loro vita in un bar a bere e che non combinano niente di buono”. Io allora annuivo e contraccambiavo il sorriso compiaciuto di mio papa, ignaro

del mio destino e delle esperienze che la sorte mi avrebbe proposto. Forse più che “proposto” sarebbe meglio dire imposto, ma non mi sbilancio per il momento, siccome non ho ancora capito in che misura sia valido nella vita umana il concetto di libero arbitrio e quanto invece influisca quello che noi chiamiamo Fato o, con un termine più scabroso ma sicuramente più diretto, Culo.

Gli anni sono passati e ripensando ora a quelle parole paterne, mi rendo conto di avere maturato un pensiero del tutto antitetico ad esse, come sempre a causa delle mie esperienze di vita.

Queste ultime sono senza dubbio il meccanismo che permette la formazione e la conseguente evoluzione della nostra sensibilità e pertanto mi trovo ancora una volta a concordare pienamente con quello che illustri pensatori hanno detto prima di me, e in particolare con il filosofo greco Eraclito, il quale scrisse: “E’ nel cambiamento che ritroviamo noi stessi”.

A questo punto e doverosa una premessa e per quanto io mi sforzi non ne trovo una più convincente di pubblicare qui di seguito l’inizio di un mio vecchio racconto su quella che fu la mia vita durante il periodo che va dal Settembre del 2005 al Dicembre del 2006.

Queste poche righe, scritte come introduzione a codesta mia “opera letteraria” tutt’ora incompiuta, sebbene poco serie e tutt’altro che auliche, hanno l’importante caratteristica di presentare i fatti “a caldo”, come li percepii nel momento in cui li ho vissuti senza che i venti del tempo ne raffreddassero il ricordo.

Nel periodo in cui si apre questa storia il sottoscritto era appena tornato dalle vacanze estive, trascorse tra Sicilia e Puglia e, come qualsiasi studente che si rispetti, il mio problema principale era quello di recuperare almeno in parte i soldi appena dilapidati: ero assolutamente in cerca di lavoro.

Non potendo trascurare del tutto l’università, mi occorreva trovare un lavoro part-time: impresa non facile in una zona come il Canavese.

Dunque, il Canavese e un fazzoletto si terra che si trova a Nord-Est di Torino e che, secondo fonti accreditate, trae il proprio nome dall’antica citta di “Canava” posta sul torrente Orco.

Bene, se un naturalista o anche un semplice turista curioso potrebbe trovare infiniti spunti e soddisfazioni in questo territorio, uno studente in cerca di un lavoro part-time non può che trovare difficolta e porte chiuse a cui bussare senza troppa speranza.

E cosi fu.

Settembre si avvicinava al suo termine e io un lavoro non ce l’avevo ancora. Come un neonato alcolizzato di latte materno continuavo a puppare dal mio conto alla posta senza mai avere nemmeno un centesimo di Euro da depositarci.. insomma, come spesso mi succede, ero in braghe di tela.

Poi una telefonata mi cambio la vita.

In una giornata un po’ più fredda delle altre mi trovavo nel mio cortile di casa a spaccare la legna in preparazione della stagione invernale. Tra un colpo e l’altro il cellulare: poso la scure e rispondo.

“Ciao! Sono Vanni il fratello di Ilenia” – mi accoglie amichevole la voce sconosciuta – “volevo chiederti se ti andava di venire a lavorare part-time nel mio distributore di benzina, sulla strada tra Montalto e Borgofranco”.

Era l’occasione che aspettavo e non me la lasciai scappare!

Risposi un solare “Sicuro!!” e ci accordammo per vederci il giorno successivo.

Continuai a spaccare la legna, ma un po’ più felice.

Il fatidico giorno a trovare il distributore non ci misi molto: le indicazioni erano piuttosto precise e poi, malgrado quello che alcune malevoli lingue potrebbero sostenere, non sono ancora cosi rincoglionito.

Chi mi si paro davanti fu un ragazzo sulla ventina: Vanni.

L’unica cosa che ne tradiva l’aspetto e mostrava in effetti la sua reale età era il viso, per il resto la stazza ricordava quella di un trentenne ex giocatore di basket in piena crisi post campionato.

Al suo cospetto, io con il mio metro e settanta scarso mi sentii un po’ troppo piccolo, ma poi furono le parole a sciogliere l’imbarazzo.

Il contratto verbale fu rapido e si riassume in una settimana di prova e poi in caso l’assunzione come collaboratore part-time.

Al posto di un calumet ci fu una tazza di caffe caldo, ma per il resto mi sentii come un esploratore yankee che scopre per la prima volta un Nuovo Mondo e fa amicizia con quei suoi indios.

Infine decidemmo anche la paga: non particolarmente elevata, ma comunque in grado di fare sognare uno studente disoccupato come me.

Ricordo che andando via da quel distributore mi girai ad osservarlo meglio di come avessi fatto appena arrivato.

L’aspetto era assolutamente vissuto e non particolarmente magnifico: tre pompe malandate, una stanzetta come ufficio, e un atelier riparazioni. A sinistra dell’officina c’era un bar. Era piccolo ma molto carino, cosi come lo erano i suoi gestori ..un po’ meno forse i suoi avventori, ma di questo al tempo non potevo esserne a conoscenza.

Misi in moto la macchina e tornai a casa, un po’ più contento pero di quando ero partito.

Ecco, questo e quanto scrissi a caldo tempo fa riguardo a quella esperienza lavorativa

che sarebbe poi stata per me cosi importante.

Importante perché?

Perché proprio frequentando quel posto di lavoro e soprattutto il bar annesso, ho avuto la possibilità di conoscere i suoi avventori: avvinazzati, ex galeotti, malavitosi, relitti sociali, insomma gente che normalmente non avrei avuto la possibilità ne probabilmente la volontà di conoscere, restando imprigionato in una normale vita da borghese doc.

Ma proprio queste persone che la nostra società ha bandito, rilegandole ai suoi bordi più lontani, se non addirittura al suo esterno, sono quelle che mi hanno trasmesso l’insegnamento più grande, e che questo libro tenta di ricordare e di dar loro voce.

Se abbassiamo un attimo la guardia della nostra diffidenza e ci relazioniamo con il nostro prossimo senza sceglierlo in base ai suoi abiti, alla sua parlata o peggio ancora in base alla sua pelle, verremo a contatto con mondi che nemmeno sospettiamo e affonderemo le mani in quello strato di miseria e di umanità che noi abbiamo tragicamente perso da troppo tempo.