FRAMMENTI #13

GIORNI FRANCESI pt. 3

21-09-2010

Travestito da congressista esco dall’hotel intorno alle nove del mattino con l’intenzione di andare ad esplorare l’isola di Nantes. Questa è di certo un’attrattiva per me più interessante rispetto ad una eventuale mattinata passata ad ascoltare “il destino del merluzzo nel Mare Baltico in relazione alla pressione dovuta al cannibalismo sugli esemplari più giovani verificata tra il 2007 e il 2008”.

Ieri sera in hotel ho letto un articolo sulle “favolose macchine dell’isola di Nantes ispirate ai racconti di Jules Verne” che dovrebbero trovarsi in un cantiere dismesso nel vecchio porto dell’isola: un richiamo troppo forte per potervi resistere! Ma prima di intraprendere la mia ricerca mi sento in dovere di scattare le foto che il giorno prima non sono riuscito a fare, non avendo la macchina fotografica con me. Mi dirigo così al castello dei Duchi di Bretagna e poi alla cattedrale. Non scatto tuttavia foto di quest’ultima, ma ancora una volta mi appago della serenità che solo quelle mura hanno saputo trasmettermi. Ora mi sento finalmente pronto per mettermi sulle tracce dell’isola e delle macchine di Jules Verne.

L’isola di Nantes si erge al centro della Loira, collegata alla terraferma attraverso una serie di ponti trafficati da macchine (contemporanee queste), tram, qualche bicicletta e molti pedoni. Il primo impatto non è dei migliori. Quella che fantasticavo essere un’isola tutta da scoprire si rivela in realtà sede di uffici e banche i cui grattacieli a specchi si stagliano emergendo direttamente dalla Loira. Senza perdermi d’animo mi aggiro tra quei grattacieli alla ricerca di qualcosa che sia più a misura d’uomo e alla fine lo trovo: un quartiere a case basse e ristorantini. Mi addentro nelle stradine di quel quartiere e proseguo verso Ovest, il vecchio porto dovrebbe trovarsi in questa direzione.

Passo più di un’ora a girovagare e poi finalmente lo vedo: l’elefante meccanico. Ci sono! Incredibile, un elefante meccanico gigantesco è lì davanti ai miei occhi. Tutto il vecchio cantiere è particolarissimo. In questo hangar sono conservate le macchine ispirate ai racconti di Jules Verne, ma la cosa impressionante è che sono tutte funzionanti! L’elefante, ad esempio, si muove e sbuffa vapore dalla proboscide. Poi arrivano il calamaro, il pesce, la carrozza con i cavalli, la tartaruga marina, il serpente marino, il guscio di noce, la nave pirata e il granchio. Tutte queste macchine sono azionabili e pilotabili da uomini. Sedendosi sul calamaro, girando un volante e tirando delle leve è possibile spostarsi, muovere braccia, tentacoli e tutto il resto. Almeno sei persone sono invece necessarie per azionare il serpente marino: una controlla i barbigli e le orecchie, un’altra gli occhi, un’altra ancora la testa. Per il collo e la coda servono altre tre persone. Mi perdo tra quelle macchine per molto tempo e scopro che all’interno dell’hangar c’è gente che lavora per realizzarne di nuove. Una vera officina meccanica! Fantastico, uno dei lavori più belli che la mente umana abbia mai concepito. Alla fine, l’orologio di un altro visitatore mi riporta alla realtà: è ora di tornare al congresso. Nel pomeriggio mi tocca presentare il mio lavoro ed è bene che mi rechi alla conferenza con largo anticipo.

Il destino del merluzzo mi tocca comunque. Un paio di oratori sono infatti stati posticipati al pomeriggio durante la mia assenza. Li ascolto, poi è il mio turno. Scambio qualche opinione con alcuni colleghi e poi rientro all’hotel, domani mi aspetta la levataccia per il rientro in patria. Mentre i miei passi si susseguono in direzione dell’hotel ripenso a questi giorni francesi e mi sento pienamente soddisfatto delle esperienze fatte. Un grande senso di tranquillità misto a gioia mi pervade nel pensare che domani tornerò a casa più ricco spiritualmente di quando sono partito.