DALLA BOLIVIA ALL’INDIVIA

Di economia non ho mai capito nulla, ma fortunatamente ho avuto un valido maestro: Giovanni.  Anni addietro, in una delle sue tante lezioni frontali, Giovanni mi disse: “Oggi si sta male perché c’è troppo benessere.” Io allora non ero che un bambino e non potevo certo afferrare il significato di quelle sue parole, che al mio piccolo orecchio risuonavano come una sorta di formula magica pronunciata da un vecchio stregone. Ma Giovanni non era un mago. Giovanni, classe 1920. Giovanni aveva vissuto il disfacimento di questo nostro Stato, la Seconda Guerra Mondiale, la prigionia da parte dei tedeschi e poi la ricostruzione della Patria. Giovanni era un contadino. Giovanni era mio nonno.

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Una sbirciatina fuori dall’uscio …

Crisi. Questa è la parola che è sulla bocca di tutti, quella che apre ogni notiziario televisivo e che a caratteri cubitali addobba le prime pagine dei giornali. C’è aria di crisi e mica solo in Italia! La Grecia scivola, la Spagna collassa. Non c’è lavoro, non si trova. Le fabbriche chiudono, così come le aziende e gli esercizi commerciali. Persino la pubblica amministrazione deve dolorosamente tirare la cinghia, figuriamoci i cittadini! I tempi sono bui e ancora non si è toccato il fondo, assicurano i più saggi. C’è chi profetizza lo scoppio di un’imminente guerra in Europa, necessaria per sbrogliare la matassa. Bisogna rompere per poi ricostruire: questa tra le altre l’opinione di Francesco, ultra ottantenne, vicino di vigna.

A prescindere da quale futuro ciascuno di noi immagini, bisogna tuttavia concordare su un punto fondamentale: non si può continuare ad andare avanti in questo modo. In fondo, se guardiamo la realtà da un punto di vista un po’ più ampio, possiamo tranquillamente asserire che i correnti sistemi economici e sociali non sono che pensieri recenti; teorizzazioni ed empirismi tentati dalla specie umana per cercare di fare ordine e proliferare al meglio delle sue capacità. Ebbene, sebbene creati per nobili scopi (almeno da un punto di vista antropocentrico) questi sistemi si sono rivelati deleteri e l’uomo è ormai al tracollo schiacciato dagli ingranaggi che lui stesso ha costruito.

Quando parlo di uomo, intendo quella maggioranza di noi che non solo non ha ormai la possibilità di partecipare attivamente alle scelte della politica, ma che anzi queste altrui scelte le deve subire, arrabattandosi per sopravvivere. Passano gli anni, i secoli e perfino i millenni, ma il mondo continua a rimanere in mano ad un’oligarchia dissennata. Questa classe dirigente è ormai talmente concentrata su sé stessa e sulla propria attività di parassitismo sociale da non riuscire a capire che avanti di questo passo non ci sarà più nulla da parassitare.

Mi auguro di vivere in un epoca di cambiamenti, quale migliore auspicio per l’imminente futuro. Ciononostante, non credo più ad una salvezza che arrivi dall’alto, dalla classe dirigente o da un gruppo politico. Credo sia tempo che ciascun individuo scelga coscienziosamente da che parte stare, se da quella dell’ossequioso servo del potere o da quella di chi si chiama fuori da un sistema ormai in avaria. Non asocialità, ma anzi consapevole singolarità in ciascuna nostra azione. Occorre tornare all’essenzialità delle cose, tornare a scegliere, a pensare ad ogni piccolo gesto, a sentirsi responsabili di ciò che si fa o si dice. Consapevolezza è la parola chiave. E tutto questo non a partire da domani, ma da subito.