FRAMMENTI #33

ALLA  CITA

Giacomo Nurra era un puttaniere con alle spalle una rovinosa serie di matrimoni finiti male. Una vita vissuta in mezzo a troppo rumore di fondo, che spesso l’aveva portato a trascurare i doveri familiari per rincorrere evanescenti piaceri carnali. Nel quartiere della CITA vi era finito dopo che l’ultima moglie lo aveva sbattuto definitivamente fuori di casa. Qualcuno gli aveva detto che in quei palazzoni di cemento anni ’70 c’era un appartamento da occupare e così eccolo lì. In trappola. Con tutte le utenze staccate, senza acqua corrente ed elettricità, si sentiva come in una tomba. Fortunatamente, da qualche tempo l’appartamento sottostante il suo era vuoto e nessuno era ancora arrivato ad occuparlo. Così, Giacomo aveva avuto la geniale idea di picconare il suo pavimento per aprire un varco dove espletare le sue funzioni corporee. Una misera vita la sua, ma almeno c’era Noemi.

La ragazza veniva a trovarlo regolarmente, una volta a settimana, e lo faceva divertire senza chiedere nulla in cambio. I due si conoscevano da molti anni e un tempo, quando ancora poteva permetterselo, Giacomo aveva finanziato costantemente l’attività di lei, sostenendola nei momenti di difficoltà. Tra i due c’era una sorta di conto aperto, di mutuo soccorso e così ora Noemi non chiedeva soldi a Giacomo, forse nemmeno se li aspettava.

Il giorno in cui successe il fatto Giacomo se ne stava sprofondato sul divano in uno stato di inerzia totale. Tutta la sua attenzione era catalizzata nel guardare i fiochi raggi del sole che, filtrati dalle persiane socchiuse, formavano piccoli pallini luminosi sulla superficie del muro. Per un momento…

E poi? Cos’altro potrebbe accadere? Mai mettersi a scrivere se non si hanno le idee piuttosto chiare di dove si vorrebbe andare a parare! E dire che me l’ero ripromesso. E invece eccomi qua, a ravanare tra le parole per cercare di mettere assieme una trama qualunque per partecipare ad un concorso. Eppure mi sentivo ispirato questa sera! Forse sarebbe meglio se ricominciassi a bere. La fantasia scorreva meglio quando la lubrificavo con il vino. Ho iniziato a scrivere per necessità, un modo come un altro per sciacquarsi l’anima, ma poi nel tempo le cose sono cambiate. Lo scrivere non è stato solo più catarsi, ma un modo per comunicare con l’esterno. E forse questo è stato l’inizio della fine. Perché per comunicare qualcosa occorre qualcuno con cui farlo e per accaparrarsi quel qualcuno ecco che iniziano i compromessi. Come sarebbe meglio e più onesto scrivere senza la speranza di venire letti e la necessità di essere compatiti o giudicati! Forse dovrei cambiare tutto. Forse dovrei tornare indietro a quando scrivevo per necessità. Aprire la mente e lo spirito e buttare fuori tutto quello che ho dentro senza doverlo per forza imbrigliare in una forma predefinita. Ma al solo pensiero un brivido di paura mi corre lungo la schiena e mi fa sussultare. E se i compromessi, la forma o la condivisione non fossero il vero problema? Se la mia anima si fosse già completamente svuotata anni addietro? Se il vero problema fossi io? Forse ho esaurito la fantasia perché ho esaurito i miei argomenti. Forse non riesco a buttare giù un’idea perché non ho più idee. Ma forse…sì, forse queste righe che sto scrivendo sono la prova che non tutto è finito, che riesco ancora a mettere in fila le parole per il piacere di farlo, senza preoccuparmi di venire capito. Forse è questa la mia vera passione: scrivere in armonia con me stesso, senza conflitti né contraddizioni. Ritagliarmi uno spazio d’azione privo di costrizioni. E se poi un giorno un giudizio sul mio operato proprio dovesse esserci, beh, quello starà a voi. In fondo è l’entomologo che si prende la briga di classificare la formica, lei si limita ad essere sé stessa.